Preludio 13, Manel Rebollo

Cosa desidera la parola?

Cosa significa desiderio?  Cosa vuol dire questa parola?

La stessa domanda implica un desiderio di dire nelle stesse parole, un  «voler dire» che conferma che si è lì, negli interstizi del linguaggio, dove abita il desiderio.

Nemmeno il suo nome dato da Freud in tedesco, Wunsch, lo arresta in una significazione, giacché in Begehren trova anche un altro termine, senza esaurire con quello il suo senso. Da lì il segreto della sua indistruttibilità. Per distruggere qualcosa bisogna localizzarlo, e la delocalizzazione del desiderio è evidente, forgiando la sua residenza, il suo Dasein, il suo essere lì, in uno spazio tra due significanti. Non c’è posto per il desiderio nella coscienza, soltanto nel fallimento (insuccès) del tentativo, dove si rivela come un insaputo che sa [insu que sait].

Lacan prova a localizzarlo in modi diversi:

– Attraverso la scrittura: nel suo grafo del desiderio, tra la linea dell’enunciazione e quella dell’enunciato, a livello del fantasma; oppure tra il “per tutti” della formula sessuale maschile e il “non tutto” di quella femminile.

– Attraverso la nominazione, in un percorso che passa ragionevolmente [ra-son-ablemente][1] per il Das Ding, il piano [el designio], el deser,e attraversa nuovi termini, come l’oggetto a, il plus-godere e un metonimico eccetera dove vaga come lucertola nelle reti del dire, perdendo la sua coda in ogni modalità sostanziale di godimento.

Prodotto del linguaggio e causa del discorso, ognuno degli esseri parlanti tenta di cavarsela con il suo sintomo. Così, articolato nella parola, ma non articolabile, si fa volere dai soggetti nella sua erranza giocosa tra i detti.

Allora, come raggiungerlo? Soltanto attraverso i meandri dell’interpretazione,  quel dire senza senso dell’analista che permetta di ragionare [rasonar][2] con il desiderio del soggetto in un istante effimero di sapere al posto della verità. Per cessare di essere poi verità, questo sapere. È il suo destino.

Traduzione a cura di Rosanne Alvarez

 


[1] ragionevolmente [ra-son-ablemente]: nella lingua spagnola si sentono contemporaneamente le unità fonematiche, come l’autore mette in evidenza.

[2] rasonar, omofonico di risuonare